Luigia ACCUMULO

CV

Laureata in Lingue e Culture straniere (ciclo triennale) nel maggio 2012 presso l’Università degli Studi di Salerno con una tesi sperimentale in Letteratura italiana dal titolo Thomas James Mathias, arcade inglese nella Napoli di primo Ottocento e in Lingue e Letterature moderne (ciclo magistrale) presso la stessa università nel novembre 2016 con una tesi sperimentale in Letteratura italiana dal titolo L’autobiografia inedita di Orazio De Attellis: Vicende di un gentiluomo. Dal 2017 è dottoranda di ricerca presso il Dottorato in Studi Letterari, Linguistici e Storici dell’Università di Salerno in co-tutela con l’Université de Lorraine di Nancy. Dal 2018 al 2020 ha ricoperto l’incarico di lettrice di lingua italiana presso l’Université de Lorraine (Département italien, Licence LCE - Langues et Cultures étrangères, LEA - Langues étrangères appliquées, Master 1, Master 2).

Tutor

Laura Paolino
Università di Salerno

Co-tutor

Elsa Chaarani
Université de Nancy

Progetto di ricerca

I manoscritti di Orazio De Attelis

l progetto di ricerca si propone di far conoscere l’importanza delle opere di Orazio De Attellis, uno scrittore molisano vissuto tra il XVIII e il XIX secolo, attraverso la realizzazione dell’edizione critica di due dei suoi testi, ancora inediti, a noi pervenuti nei manoscritti dell’autore: l’autobiografia Vicende di un gentiluomo, scritta nel 1845 negli Stati Uniti, e I miei casi di Roma sotto il Triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi, un’opera autobiografica scritta a Roma nel 1849. I due manoscritti, con molti altri autografi e documenti riguardanti la vita di De Attellis, sono attualmente conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli Vittorio Emanuele III. Le due opere autobiografiche di De Attellis rappresentano una testimonianza storica di rilievo in quanto la storia personale dell’autore è strettamente connessa alla storia politica italiana degli anni in cui ha vissuto. Durante tutta la sua esistenza, Orazio De Attellis fu impegnato nella lotta per il raggiungimento degli ideali di libertà e di unità nazionale italiana, sia attraverso la partecipazione diretta agli eventi che scandivano in quegli anni la storia del Risorgimento italiano, sia attraverso un’intensa attività pubblicistica. Nonostante l’importanza storica degli scritti deattellisiani, esistono pochi studi che lo riguardano. Tra questi, ricordiamo i saggi di Maria Bizzarrilli e di Nino Cortese, risalenti agli anni Trenta del Novecento, e lo studio più recente di Luciano Rusich, risalente agli inizi degli anni Ottanta. Al fine di ricostruire la sua biografia, questi studiosi si sono serviti dei manoscritti di De Attellis citandone qualche passo nei loro studi, ma nessuno di essi si è dedicato all’edizione critica di almeno uno di questi testi. Possiamo dunque affermare che, a tutt’oggi, l’opera di questo scrittore è globalmente inedita e pressoché sconosciuta. Esiste dunque un reale interesse, sia storico che letterario, alla pubblicazione di questi scritti. Avendo realizzato gran parte del lavoro di edizione critica delle Vicende di un gentiluomo nel  2016, in occasione del lavoro di tesi magistrale, ho inaugurato il mio percorso di dottorato con la trascrizione del manoscritto I miei casi di Roma, per poi approfondire lo studio del contesto storico in cui l’opera è stata concepita. Ad oggi, gran parte del lavoro relativo all’edizione critica de I miei casi di Roma è stata portata a termine. Le tre sezioni che costituiscono il manoscritto, ossia la Sinopsi biografica, il Giornale relativo agli eventi del 1849 e gli scambi epistolari posti alla fine dell’opera, sono stati completamente trascritti e corredati da un apparato critico. A differenza dell’autobiografia, l’opera autobiografica I miei casi di Roma nasce dal desiderio di De Attellis di denunciare il trattamento riservatogli dal triumvirato romano e in particolare da Mazzini, che non aveva accettato la sua collaborazione nella difesa della Repubblica romana. Dunque, lo scrittore molisano potrebbe aver avuto un certo interesse nell’attribuirsi ruoli più importanti rispetto a quelli effettivamente avuti nella realtà, poiché il suo obiettivo era quello di mettere in risalto il suo valore e di polemizzare con Mazzini che lo aveva costretto all’inazione. Per lo stesso motivo, il procedimento letterario dell’ironia, che è tipico della scrittura deattellisiana, ne I miei casi di Roma risulta particolarmente pungente nei confronti di Mazzini, sin dalla Sinopsi, dove parlando delle sue prime esperienze militari, afferma che Mazzini, a quei tempi, non era ancora nato. Al fine di verificare l’attendibilità dei fatti narrati da De Attellis nell’opera I miei casi di Roma è stato approfondito lo studio del periodo storico del 1849, accordando una particolare attenzione al contesto sociale e politico livornese. Nel periodo in cui De Attellis fu attivo a Livorno, infatti, tra febbraio e aprile 1849, la situazione politica della Toscana risulta particolarmente complessa. Dopo la fuga del granduca Leopoldo II, avvenuta il 30 gennaio 1849, in Toscana era stato nominato un Triumvirato democratico, formato da Francesco Domenico Guerrazzi, Giuseppe Montanelli e Giuseppe Mazzoni. Tuttavia, la politica di Guerrazzi aveva attirato le ire della parte più estrema della democrazia per la sua azione mediatrice con i moderati, provocando, così, una rottura all’interno del fronte democratico. Inoltre, la sconfitta dei patrioti italiani a Novara ad opera delle truppe austriache, il 23 marzo 1849, significò per la Toscana, l’affacciarsi di un reale pericolo di intervento austriaco. Nelle stesse ore in cui l’esercito piemontese crollava a Novara, mettendo fine alle speranze dei patrioti italiani, in Toscana la reazione si faceva più insistente, finché, l’8 aprile, ebbe la meglio a Firenze sui battaglioni repubblicani livornesi Ferruccio e Cosimo Del Fante. Il 12 aprile i moderati di Firenze proclamarono la restaurazione del governo costituzionale. Proprio a De Attellis toccò il compito di dare questo annuncio ai livornesi durante un suo discorso alla folla.[1] Nonostante ciò, Livorno si manteneva ostile a questa soluzione e si preparava a resistere. Proprio in questa fase cruciale, De Attellis si trovò a ricoprire i ruoli di comandante della Guardia Nazionale di Livorno e di commissario del governo provvisorio. I membri della Commissione provvisoria, De Attellis incluso, non ebbero un compito facile poiché dovettero affrontare la pressione di diverse deputazioni popolari che avanzavano continue richieste, impossibili da esaudire per i commissari. In quanto comandante della Guardia Nazionale, De Attellis si impegnò al fine di organizzare una difesa ma, vedendo inutile ogni suo tentativo a causa dell’anarchia che imperava, il 20 aprile annunciò le sue dimissioni. Pietro Martini, un artigiano livornese, nel suo diario del 1849, asserisce che la dimissione di De Attellis dispiacque generalmente in quanto «un altro elemento d’ordine e di prudenza spariva dal campo dell’azione».[2] Nel contesto politico livornese di quel periodo, infatti, in cui i democratici più estremisti chiedevano azioni rapide ed efficaci per contrastare la restaurazione di Firenze, De Attellis riuscì a mantenere una visione piuttosto realistica della situazione, agendo nelle sue possibilità. Le ragioni che indussero Mazzini a rifiutare la collaborazione di De Attellis vanno ricercate nel divario politico-generazionale che separa il patriota molisano, allora settantacinquenne, dal fondatore della Giovine Italia. Mazzini temeva, infatti, che l’età avanzata di De Attellis potesse impedire la normale attuazione di un piano di difesa, ma soprattutto era contrario al programma monarchico-costituzionale che De Attellis intendeva proporre. Come tutti i patrioti della vecchia generazione, il pensiero politico di De Attellis, risentiva, inevitabilmente, dell’esperienza diretta delle conseguenze della Rivoluzione francese in Italia. Pur restando sempre fedele al suo ideale di libertà, tra il 1848 e il 1849, il patriota molisano si accostò all’idea di un Regno d’Italia sotto la monarchia costituzionale poiché, come tanti altri repubblicani italiani, aveva capito che l’istituzione di una Repubblica italiana era impossibile in quel dato momento storico. Nonostante ciò, De Attellis si mostrava pronto ad accogliere i vantaggi che un eventuale sistema monarchico-costituzionale poteva offrire. [1] Cfr. Pietro Martini, Nessuna bandiera bianca. Il diario livornese di Pietro Martini, a cura di Roberto Antonini, Patrizia Cascinelli, Luisa Marmugi, Livorno, Erasmo, 2011, p. 92. Il 18 aprile la notizia veniva diffusa da un suo articolo apparso sul «Corriere Livornese». [2] Ibid., p. 164.